giovedì 15 ottobre 2015

Al-Qaida scomunica lo Stato Islamico

Fin dalla sua proclamazione, gli analisti occidentali lo hanno definito un ramo di al-Qaida. Eppure l’efferatezza e la ferocia di cui ha dato prova nell’ultimo anno lo Stato Islamico sono eccessive anche per al-Qaida, che lo sconfessa e si proclama innocente ed estranea al suo progetto e ai suoi metodi.


«Al-Qaida dichiara di non aver alcun legame con il gruppo dello Stato Islamico in Iraq e in Siria, di non essere stata messa al corrente della sua formazione, di non essere stata consultata e di non rallegrarsene affatto. Al-Qaida ha ordinato al gruppo di sospendere qualsiasi attività, perciò quest’ultimo non può considerarsi un suo ramo; tra le due organizzazioni non sussiste alcun legame e al-Qaida non è responsabile dei comportamenti dello Stato Islamico»[1].

Con questa dichiarazione Ayman al-Ẓawâhirî, subentrato alla leadership di al-Qaida nel 2011 in seguito alla morte di Osama bin Laden, smentisce l’esistenza di qualunque legame tra l’organizzazione di cui è a capo e lo Stato Islamico di al-Baghdadi. Quest’ultimo avrebbe intrapreso il suo progetto autonomamente, senza consultarsi con la direzione generale di al-Qaida, e il 29 giugno 2014 avrebbe proclamato la nascita del Califfato all’insaputa di al-Ẓawâhirî. Così facendo al-Baghdadi avrebbe violato l’accordo stipulato tra al-Qaida e i suoi seguaci in Iraq (affiliati all’organizzazione Al-Qaida in Iraq), che prevedeva che nel Levante non sarebbero sorte entità statuali qaidiste.



Ayman al-Ẓawâhirî, leader di al-Qaida centrale


Divergenze di metodo

Oltre alla mancata consultazione con la “casa madre”, anche il metodo adottato da al-Baghdadi avrebbe convinto il leader di al-Qaida a dissociarsi dal Califfo. Al-Qaida rimane fedele al metodo introdotto da Osama bin Laden e poi adottato da shaykh Mustafâ Abû al-Yazîd[2], shaykh ‘Atiya[3] e shaykh Abû Yahyâ[4] – spiega al-Ẓawâhirî[5]. Tale metodo, illustrato in Tawjîhât ‘âmma li-l-‘amal al-jihâdî (“Indicazioni generali per l’operazione jihadista”), definisce gli obbiettivi dei mujahidin e le modalità operative per raggiungerli. I nemici numero uno di al-Qaida – si legge nel documento – sono l’America e i suoi “alleati crociati ed ebrei”. Il sangue degli innocenti è proibito, perciò non è lecito commettere attentati nei suq, nei quartieri residenziali, nelle moschee e tanto meno tra i mujahidin. Al-Baghdadi contravverrebbe a questo metodo perché esercita la violenza indistintamente su quanti, musulmani e non-musulmani, si oppongono al suo progetto.
Su questo punto al-Ẓawâhirî è tornato anche recentemente, in seguito all’attacco suicida che nel febbraio scorso ha provocato la morte di Abû Khâlid al-Sûrî, esponente di Ahrâr al-Shâm – estensione del gruppo terrorista al-Nusra a sua volta legato ad al-Qaida. Il combattente sarebbe stato ucciso dai nuovi “kharijiti”, espressione con cui il leader di Ahrâr al-Shâm, Hisân ‘Abûd, ha definito gli attentatori mandati da al-Baghdadi. Commentando il fatto al-Ẓawâhirî ha messo in guardia i musulmani esortandoli a non stare dalla parte del Califfo, a «non offrire il loro sostegno a chi fa saltare in aria le sedi dei mujahidin, e a chi manda loro autobombe o uomini bombe»[6].

Due visioni contrastanti di Califfato

Un altro motivo di dissenso tra le due organizzazioni è la natura che deve assumere il Califfato.
La questione del metodo sembra determinante anche per quanto concerne il raggiungimento dell’obbiettivo finale delle due organizzazioni. Sebbene tale obbiettivo sia simile – unificare la umma e ripristinare il califfato “ben guidato” – a detta di al-Ẓawâhirî non si può dire che esse percorrano le medesime vie per realizzarlo. Al-Qaida vorrebbe ripristinare il califfato dei quattro califfi “ben guidati”, Abû Bakr, ‘Umar, ‘Uthmân e ‘Alî, sulla base di una tradizione del Profeta: «Dovete rimanere tenacemente attaccati alla mia sunna e alla sunna dei califfi ben guidati». Tutti i governanti successivi avrebbero infatti dato prova di mediocrità, e finito per dar vita a forme di califfato corrotte, come fecero i sultani mamelucchi – ricorda ancora al-Ẓawâhirî – che si contendevano il potere a filo di spada. Il califfato delle origini sarebbe invece fondato sulla consultazione (shûrâ) e sul consenso dei musulmani. 
Il Califfato in Iraq e in Siria sarebbe perciò un tradimento della storia e al-Baghdadi un dittatore e un impostore. Il fatto di essersi autoproclamato califfo e di abusare della violenza generando il terrore è controproducente –  spiega al-Ẓawâhirî – perché «offre al sistema siriano e all’America l’occasione che tanto aspettavano, e rende ostili i musulmani autoctoni, che si domandano perché al-Qaida abbia attirato su di loro una tale catastrofe».

La dichiarazione di al-Ẓawâhirî si conclude con un’ulteriore professione di innocenza e l’esortazione a unire gli sforzi per mettere fine alla discordia (fitna) che sta devastando il Levante: «Noi ci professiamo innocenti ed estranei alla discordia che si sta diffondendo nel Levante tra le fazioni dei combattenti, e al sangue illecito che è stato versato, da una parte e dall’altra. Noi esortiamo tutti i mujahidin ad avere timore di Dio, a prendere coscienza della grande responsabilità di cui sono investiti, e dell’enorme catastrofe che si è abbattuta sul Jihad nel Levante e sul futuro della umma musulmana. Noi invitiamo chi ha ragione, fede e desiderio di unirsi al jihad ad adoperarsi per fermare la discordia mettendo immediatamente fine alla battaglia, e risolvere i conflitti rivolgendosi alle autorità giudiziarie»[7].

Insomma, lo Stato Islamico sarebbe troppo fondamentalista anche per i più fondamentalisti (al-Qaida in primis, ma non solo) e i suoi metodi troppo violenti e coercitivi. Al-Ẓawâhirî ritiene che i militanti di al-Baghdadi stiano mietendo vittime innocenti, ciò che sarebbe contrario all’“etica” del jihad – dimenticando forse che anche i presunti “crociati” che l’11 settembre 2001 si trovavano nelle Torri gemelle erano innocenti. 
Surreali sono anche le dichiarazioni del leader di al-Qaida sull’età d’oro del califfato (632-661) e il suo desiderio di istituirne uno democratico, che lasci la libertà ai musulmani di scegliere il loro califfo! La storia islamica ci ricorda infatti che il periodo 632-661 non fu certo un trentennio di pace e concordia, ma fu segnato dalle campagne di conquista e dall’assassinio dei primi tre califfi.
Se al-Ẓawâhirî fosse riuscito a ricreare il “califfato originario”, chissà se davvero avrebbe adottato metodi diversi da quelli di al-Baghdadi di fronte alla ritrosia di quei musulmani che oggi si sentono siriani e iracheni, non certo sudditi di un califfato.






[2] Di origini egiziane, fu il responsabile delle casse finanziarie di al-Qaida. Fu ucciso il 21 maggio 2010 durante un raid aereo nella regione del Waziristan, a nord-ovest del Pakistan. http://www.longwarjournal.org/archives/2010/05/top_al_qaeda_leader_1.php. 
[3] Di origini libiche, shaykh ‘Atiya ‘Abd al-Rahmân era il numero due di al-Qaida. Fu ucciso il 22 agosto 2011 da un drone della CIA.  http://www.theguardian.com/world/2011/aug/27/al-qaida-two-killed-pakistan.
[4] Di origini libiche, Abû Yahyâ fu detenuto nel centro di detenzione Bagram da cui riuscì a fuggire a luglio 2005. Fu ucciso il 4 giugno 2012 nella regione del Waziristan, Pakistan, da un drone della CIA. La sua morte fu successivamente confermata da al-Ẓawâhirî in un video diffuso a settembre 2012.
[5] Qâlû ‘an dawla al-Baghdâdî, Katâ’ib rad‘ al-khawârij, 1436/2015, pp. 10-11.
[6] Ibi, p. 12. 

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