A dieci giorni dalla caduta del volo
7K9268 in Sinai, Londra e Washington propendono per l’ipotesi dell’attentato. E
mentre l’inchiesta procede, la Provincia di Aleppo, affiliata allo Stato
Islamico, ha postato online un nuovo video di sette minuti dal titolo “Appagamento
delle anime per l’uccisione dei russi” in cui si congratula con i fratelli della
Wilâyat Sinai, la Provincia del Sinai, per
l’abbattimento dell’aereo russo in cui hanno perso la vita “220 crociati
russi”. Una voce fuori campo celebra l’attentato e mette in guardia la Russia,
minacciandola di mietere altre vittime se il governo continuerà a intromettersi
nella questione siriana. Questo è il terzo video di rivendicazione rilasciato
in pochi giorni. Il primo era un breve audio-video realizzato a poche ore
dall’attentato mentre il secondo, dal titolo “Siamo stati noi a farlo cadere.
Schiattate di rabbia”, è stato postato
il 4 novembre.
[Versione breve del video “Appagamento delle anime per l’uccisione dei russi”]
Tuttavia non tutti sembrano propendere
per l’ipotesi dell’attentato. Tra gli esperti vi è anche chi la ritiene illogica.
Secondo William McCants, ricercatore del Brookings Institution, effettuare una
spedizione punitiva contro la Russia abbattendo un suo aereo sarebbe
controproducente per lo Stato Islamico. Infatti in Siria la Russia non sta
combattendo le milizie del Califfo, ma i gruppi jihadisti che vogliono
rovesciare quel che resta del governo di Bashar al-Asad e che interferiscono
con lo Stato Islamico. Nel mirino russo ci sono gli uomini di Jabhat al-Nusra, Ahrar al-Sham, Jabhat Ansar al-Din e dell’Esercito Siriano Libero. In un certo
senso perciò la presenza russa in Siria sarebbe vantaggiosa per lo Stato
Islamico perché combatte i suoi nemici.
L’evoluzione del jihadismo in Sinai
Il Sinai è da anni una spina nel fianco
del governo egiziano. Per la sua posizione geografica, la penisola è
ideologicamente più vicina a Gaza che al Cairo, e anche le vie del commercio
hanno sempre portato le tribù che popolano il Sinai verso Nord piuttosto che
verso Sud. Inoltre la morfologia della penisola non è certo stata d’aiuto alle
forze di sicurezza egiziane, che difficilmente sono riuscite a controllare la zona desertica
settentrionale e la zona montagnosa meridionale. Senza dimenticare che il Sinai
è una zona cuscinetto tra Egitto e Israele e, come tale, dev’essere
demilitarizzata. Se si considera inoltre la bassa densità demografica della regione, si capisce come
la penisola sia stata da sempre un ottimo rifugio per i militanti che, dal 2000 hanno avuto mano libera soprattutto nella parte settentrionale del Sinai.
È in questa zona che negli anni ‘90 si è
formato il gruppo terrorista al-Tawhîd wa al-Jihâd,
a cui sono stati attribuiti gli attentati di Taba nell’ottobre 2004, di Sharm
el-Sheikh nel luglio 2005 e di Dahab nell’aprile 2006.
Il Sinai settentrionale è stato inoltre la
destinazione preferita dei salafiti di Jund Ansar Allah, gruppo attivo nella
striscia di Gaza, che ad agosto 2009 fu messo in fuga da Hamas per aver
proclamato la nascita di un Emirato Islamico in Palestina. Questo atto di sfida
è costato la vita ad ‘Abdel Latif Mussa, leader spirituale dell’organizzazione,
la cui morte segnò l’inizio della fine del gruppo, decimato dalle ritorsioni di
Hamas. I superstiti ripararono in Sinai sfruttando i tunnel nella montagna che
congiungono Gaza alla penisola egiziana.
La grande occasione dei jihadisti del
Sinai arrivò nel febbraio 2011 con le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Analogamente
a quanto stava avvenendo in Tunisia, anche nell’Egitto post-rivoluzione furono
rilasciati molti detenuti con un passato jihadista i quali, una volta usciti
dal carcere, non esitarono a riprendere i vecchi contatti e costituire nuovi
gruppi. Così fece, per esempio, Muhammad al-Zawahiri, fratello del leader di
al-Qaida, Ayman al-Zawahiri.
Nel biennio 2011-2013 le attività
jihadiste fervevano e il Sinai divenne una sorta di “fabbrica di jihadisti” che
ha dato i natali a decine di gruppi salafiti. Uno di questi, Ansar Beit al-Maqdis (Abm; poi noto come Provincia del Sinai), riuscì presto a
consolidarsi e a emergere nel panorama salafita egiziano.
Come si è formato Ansar Beit al-Maqdis
Nel vuoto di potere lasciato dalla caduta
del presidente Mubarak, e a seguito della crisi securitaria innescata dalle tribù del Sinai che hanno cacciato le
forze di sicurezza governative dalla penisola, buona parte dei militanti della
regione si sono uniti al gruppo al-Tawhîd wa al-Jihâd. Da questa unione è nato Ansar
Beit al-Maqdis. Come suggerisce il nome stesso dell’organizzazione, “i paladini di Gerusalemme”, inizialmente
l’obbiettivo di Abm era liberare Gerusalemme dal governo israeliano. Perciò le
prime azioni terroristiche miravano a colpire degli obbiettivi locali. La prima
di queste operazioni risale a luglio 2012, quando i militanti attaccarono un
gasdotto che esportava gas verso la Giordania e Israele. Poco tempo dopo, l’organizzazione
lanciò dei missili dal Sinai sulla città di Eilat (agosto 2012) e attaccò una pattuglia
israeliana di confine (settembre 2012) in risposta alla produzione cinematografica “Innocence of Muslims”, il lungometraggio “blasfemo” prodotto dal cristiano copto Nakoula
Basseley Nakoula, ma inizialmente ritenuto
una produzione israeliana.
La destituzione del presidente islamista
Mohammad Mursi nel 2013 ha segnato un cambio di rotta nella strategia di Ansar
Beit al-Maqdis. Collaborando con i gruppi disseminati nei vari teatri di crisi
egiziani, l’organizzazione è infatti riuscita a estendere la sua rete su tutto
il territorio e ad affermarsi come movimento jihadista nazionale.
Rivendicazione di Ansar Beit al-Maqdis dell'attentato alla sede della sicurezza nel Sud Sinai |
Da questo momento, Ansar Beit al-Maqdis sposta
la sua attenzione dal fronte nord al fronte sud, prendendo di mira i militari di
al-Sisi e alcune personalità politiche egiziane, punendole per il massacro di
piazza al-Râbi‘a avvenuto nell’agosto 2013 in cui
persero la vita oltre 600 persone. A oggi le vittime delle forze di sicurezza
sono oltre 700, la maggior parte delle quali sono state uccise del Sinai
settentrionale, grazie anche alla collaborazione di agenti di polizia disertori
che hanno abbracciato la causa jihadista. In questo contesto rientrano, per
esempio, l’omicidio del Tenente Colonnello Muhammad Mabrûk, ucciso al Cairo nel novembre 2013, e il tentato omicidio
del ministro degli Interni Muhammad Ibrâhîm.
Il 10 novembre 2014 il leader di Ansar
Beit al-Maqdis, Abû ‘Usâma al-Masrî,
dichiarava fedeltà allo Stato Islamico e l’organizzazione assumeva una nuova
denominazione, diventando Provincia del Sinai. Secondo alcuni analisti questa
scelta non sarebbe stata condivisa all’unanimità e avrebbe favorito molte
divisioni. Alcune cellule della valle del Nilo avrebbero infatti preferito rimanere
fedeli ad al-Qaida. L’alleanza con al-Baghdadi si sarebbe perciò rivelata un'arma a doppio taglio perché ostacolerebbe le aspirazioni nazionali e transnazionali della
Wilâyat Sinai che, avendo perso il sostegno di
molti gruppi in terra ferma, avrebbe
dovuto ripiegare nel Sinai.
Uomini della Wilayat Sinai |
La delicata situazione del Sinai negli
ultimi quattro anni mette a nudo le difficoltà del governo egiziano ad arginare
il terrorismo. Pur avendo lanciato diverse campagne anti-terrorismo
(l’ultima delle quali, la Martyr’s Right, lanciata a ottobre) e
nonostante l’adozione di molte misure di sicurezza, l’Egitto ha dimostrato di non
riuscire a mettere in sicurezza la penisola né contenere la minaccia
jihadista.
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