[Voci
dal mondo arabo]
Secondo
l’intellettuale libanese Ridwan al-Sayyid
l’ingerenza iraniana in Siria è inopportuna e inammissibile. I pretesti avanzati dall’Iran – la difesa dei luoghi di
culto sciiti presenti a Damasco e la lotta contro chi accusa di miscredenza gli
sciiti – a giustificazione del suo intervento non sono credibili perché, spiega
al-Sayyid, nessuno Stato può arrogarsi il diritto di occupare un altro Stato
col pretesto di difendere un luogo di culto che gli appartiene.
Nel
frattempo lo Stato Islamico continua a mietere migliaia di vittime, non solo
tra i cristiani e gli sciiti ma anche tra i sunniti, mosso nelle sue azioni dalla
dottrina della fedeltà e della rottura (al-walâ’ wal-barâ’).
Qui
sotto la traduzione dell’articolo
dell’autore.
Sebbene
non abbiano alcuna relazione con la religione, anche agli occhi di chi le
commette ponendole sotto la sua egida, le azioni di Daesh e degli iraniani ci
pongono ogni giorno di fronte ad ambiguità con cui dobbiamo confrontarci.
Quando,
cinque mesi fa, gli ufficiali iraniani hanno iniziato a cadere ad Aleppo e nel
nord della Siria, gli sciiti, e tra loro Khamenei, nei loro discorsi
commemorativi affermavano come questi fossero morti solo per proteggere i luoghi
di pellegrinaggio degli Al al-Bayt e combattere quanti lanciavano anatemi. Quando
poi il fronte di Riyadh si è mosso contro Teheran, Ja‘afari, capo della Guardia
della rivoluzione, dichiarò che la Guardia aveva addestrato duecentomila combattenti
dispiegandoli in cinque Paesi arabi per diffondere i valori della rivoluzione
islamica e difendere gli interessi della Repubblica!
Nasrallah, l'ayatollah Khamenei e la moschea di Sayyida Zeynab a Damasco |
Dopo
tutto ciò c’è bisogno di spiegare i due pretesti dell’ingerenza iraniana, vale
a dire difendere i luoghi di pellegrinaggio e combattere chi accusa gli sciiti
di miscredenza? Noi siamo tenuti a considerare queste faccende seriamente non
perché vi siano dei dubbi sulle due questioni, ma perché dobbiamo parlare ai
cittadini arabi – musulmani, cristiani e non solo. Molti di loro credono a ciò
che dicono gli iraniani, non perché abbiano una buona opinione dell’Iran, ma
per la cattiva opinione che al-Qaida e Daesh hanno diffuso degli arabi e
dell’Islam. Daesh ha rivolto la sua attenzione ad alcuni luoghi di
pellegrinaggio, la maggior parte dei quali sono dedicati a personalità sufi e
storiche sunnite. Quei luoghi di culto e quelle tombe i cui mausolei sono
oggetto di attenzione, che siano dedicati agli Al al-bayt o ad altri, sono
edifici dei sunniti, non degli sciiti – com’è il caso del mausoleo di Sayyida
Zeynab nelle vicinanze di Damasco – e perciò difendere questo patrimonio
religioso non spetta né agli iraniani né a Hezbollah. Non si è mai sentito che
un Paese occupi un altro Paese perché una tomba che gli appartiene è oggetto di
attenzioni. Così come non si è mai sentito che i musulmani sunniti nel mondo
abbiano il diritto di andare a proteggere i musulmani in Siria e in Iraq le cui
moschee sono distrutte a migliaia dall’artiglieria, dai bombardamenti aerei e
dalle esplosioni. L’ultimo caso risale a pochi giorni fa quando a Diyala, in
Iraq, una decina di moschee sono state distrutte da Daesh con il pretesto della
vendetta in un attentato suicida nel mercato della città.
Ma
torniamo a Daesh. Daesh ha una cattiva opinione degli sciiti e dei cristiani. Un’opinione
ancor peggiore ce l’ha dei musulmani sunniti. Quasi non uccidono che loro.
Daesh, così come al-Qaida, è uno scisma nella nostra religione o dalla nostra religione.
È evidente che lo scisma vuole eliminare l’origine e sostituirsi ad essa. A quale
pretesto religioso si appella Daesh, che uccide non centinaia ma migliaia di
persone? Il pretesto è, come d’abitudine, la dottrina della fedeltà e della
rottura (al-walâ’ wal-barâ’).
Alcune
settimane fa ho assistito a una discussione tra due studiosi sulla questione.
Entrambi erano contro Daesh, ma uno dei due riteneva necessario applicare la
dottrina della fedeltà e della rottura poiché essa è contemplata in settanta
versetti coranici. Questa dottrina è strettamente collegata alla controversia
sull’abrogazione (naskh) tra i versetti della conciliazione e i versetti
della spada. Personalmente ritengo, come centinaia di studiosi vissuti negli
otto secoli che mi hanno preceduto, che le due questioni siano state risolte da
questo versetto: “Dio non vi proibisce di essere buoni ed equi con chi non vi
ha combattuto e non vi ha scacciato dalle vostre case, Dio ama gli equanimi”
(60,8).
Il
nostro rapporto con il resto dell’umanità è fondato sulla benevolenza e la
rettitudine, e noi abbiamo il diritto di difenderci solo se ci combattono a
causa della nostra fede o della nostra terra. Analogamente ha posto fine a
questa dottrina l’esperienza storica della umma confluita nelle interpretazioni
relative alla guerra, alla pace e alla tregua che gli Stati che si sono
succeduti hanno applicato. Nella dottrina della fedeltà e della rottura c’è un
ampliamento notevole della nozione di fede. Chi declama che non vi è altro dio
se non Iddio e che Muhammad è il suo Profeta entra nel Giardino [paradiso, ndt].
Non è miscredente chi dissente da Abu Bakr al-Baghdadi o da altri, né si può
accusare qualcuno di miscredenza per questo.
Se
accade che questi giovani creano una scissione e diffondono ovunque la morte e la
distruzione mentre i fondamentalisti iraniani le diffondono nel mondo arabo,
per quanto la loro propaganda sia falsa e assurda, non conviene prenderla alla
leggera né tacere, perché il popolo sunnita e sciita non siano tratti in
inganno. Non c’è potenza né forza se non in Dio.
Nessun commento:
Posta un commento