martedì 9 febbraio 2016

Siria: nella morsa dell’Iran e dello Stato Islamico

[Voci dal mondo arabo]

Secondo l’intellettuale libanese Ridwan al-Sayyid l’ingerenza iraniana in Siria è inopportuna e inammissibile. I pretesti  avanzati dall’Iran – la difesa dei luoghi di culto sciiti presenti a Damasco e la lotta contro chi accusa di miscredenza gli sciiti – a giustificazione del suo intervento non sono credibili perché, spiega al-Sayyid, nessuno Stato può arrogarsi il diritto di occupare un altro Stato col pretesto di difendere un luogo di culto che gli appartiene.
Nel frattempo lo Stato Islamico continua a mietere migliaia di vittime, non solo tra i cristiani e gli sciiti ma anche tra i sunniti, mosso nelle sue azioni dalla dottrina della fedeltà e della rottura (al-walâ’ wal-barâ’).  

Qui sotto la traduzione dell’articolo dell’autore.


Sebbene non abbiano alcuna relazione con la religione, anche agli occhi di chi le commette ponendole sotto la sua egida, le azioni di Daesh e degli iraniani ci pongono ogni giorno di fronte ad ambiguità con cui dobbiamo confrontarci.
Quando, cinque mesi fa, gli ufficiali iraniani hanno iniziato a cadere ad Aleppo e nel nord della Siria, gli sciiti, e tra loro Khamenei, nei loro discorsi commemorativi affermavano come questi fossero morti solo per proteggere i luoghi di pellegrinaggio degli Al al-Bayt e combattere quanti lanciavano anatemi. Quando poi il fronte di Riyadh si è mosso contro Teheran, Ja‘afari, capo della Guardia della rivoluzione, dichiarò che la Guardia aveva addestrato duecentomila combattenti dispiegandoli in cinque Paesi arabi per diffondere i valori della rivoluzione islamica e difendere gli interessi della Repubblica!

Nasrallah, l'ayatollah Khamenei e la moschea di Sayyida Zeynab a Damasco
Dopo tutto ciò c’è bisogno di spiegare i due pretesti dell’ingerenza iraniana, vale a dire difendere i luoghi di pellegrinaggio e combattere chi accusa gli sciiti di miscredenza? Noi siamo tenuti a considerare queste faccende seriamente non perché vi siano dei dubbi sulle due questioni, ma perché dobbiamo parlare ai cittadini arabi – musulmani, cristiani e non solo. Molti di loro credono a ciò che dicono gli iraniani, non perché abbiano una buona opinione dell’Iran, ma per la cattiva opinione che al-Qaida e Daesh hanno diffuso degli arabi e dell’Islam. Daesh ha rivolto la sua attenzione ad alcuni luoghi di pellegrinaggio, la maggior parte dei quali sono dedicati a personalità sufi e storiche sunnite. Quei luoghi di culto e quelle tombe i cui mausolei sono oggetto di attenzione, che siano dedicati agli Al al-bayt o ad altri, sono edifici dei sunniti, non degli sciiti – com’è il caso del mausoleo di Sayyida Zeynab nelle vicinanze di Damasco – e perciò difendere questo patrimonio religioso non spetta né agli iraniani né a Hezbollah. Non si è mai sentito che un Paese occupi un altro Paese perché una tomba che gli appartiene è oggetto di attenzioni. Così come non si è mai sentito che i musulmani sunniti nel mondo abbiano il diritto di andare a proteggere i musulmani in Siria e in Iraq le cui moschee sono distrutte a migliaia dall’artiglieria, dai bombardamenti aerei e dalle esplosioni. L’ultimo caso risale a pochi giorni fa quando a Diyala, in Iraq, una decina di moschee sono state distrutte da Daesh con il pretesto della vendetta in un attentato suicida nel mercato della città.

Ma torniamo a Daesh. Daesh ha una cattiva opinione degli sciiti e dei cristiani. Un’opinione ancor peggiore ce l’ha dei musulmani sunniti. Quasi non uccidono che loro. Daesh, così come al-Qaida, è uno scisma nella nostra religione o dalla nostra religione. È evidente che lo scisma vuole eliminare l’origine e sostituirsi ad essa. A quale pretesto religioso si appella Daesh, che uccide non centinaia ma migliaia di persone? Il pretesto è, come d’abitudine, la dottrina della fedeltà e della rottura (al-walâ’ wal-barâ’).

Alcune settimane fa ho assistito a una discussione tra due studiosi sulla questione. Entrambi erano contro Daesh, ma uno dei due riteneva necessario applicare la dottrina della fedeltà e della rottura poiché essa è contemplata in settanta versetti coranici. Questa dottrina è strettamente collegata alla controversia sull’abrogazione (naskh) tra i versetti della conciliazione e i versetti della spada. Personalmente ritengo, come centinaia di studiosi vissuti negli otto secoli che mi hanno preceduto, che le due questioni siano state risolte da questo versetto: “Dio non vi proibisce di essere buoni ed equi con chi non vi ha combattuto e non vi ha scacciato dalle vostre case, Dio ama gli equanimi” (60,8).   

Il nostro rapporto con il resto dell’umanità è fondato sulla benevolenza e la rettitudine, e noi abbiamo il diritto di difenderci solo se ci combattono a causa della nostra fede o della nostra terra. Analogamente ha posto fine a questa dottrina l’esperienza storica della umma confluita nelle interpretazioni relative alla guerra, alla pace e alla tregua che gli Stati che si sono succeduti hanno applicato. Nella dottrina della fedeltà e della rottura c’è un ampliamento notevole della nozione di fede. Chi declama che non vi è altro dio se non Iddio e che Muhammad è il suo Profeta entra nel Giardino [paradiso, ndt]. Non è miscredente chi dissente da Abu Bakr al-Baghdadi o da altri, né si può accusare qualcuno di miscredenza per questo.

Se accade che questi giovani creano una scissione e diffondono ovunque la morte e la distruzione mentre i fondamentalisti iraniani le diffondono nel mondo arabo, per quanto la loro propaganda sia falsa e assurda, non conviene prenderla alla leggera né tacere, perché il popolo sunnita e sciita non siano tratti in inganno. Non c’è potenza né forza se non in Dio.

Nessun commento:

Posta un commento